“Non chiederemmo mai ad un fiore: perché fiorisci?”
MZ
Molto spesso durante le mie lezioni attingo dall’immaginario della botanica. Il nostro corpo nella sua istanza prettamente fisica infatti non si comporta così diversamente rispetto ad una qualsiasi forma vegetale. Utilizzare delle visualizzazioni che richiamano il mondo delle piante è molto utile per regalare al corpo una qualità fluida, radicata ed estensiva.
Persino un filo d’erba gode di una piccola vibrazione vitale continua. Di fatto il movimento nutre e sostiene la vita, quindi è molto interessante vedere come questo si manifesta nella natura per poi portarlo nella qualità del gesto danzato.
Se osserviamo un ulivo in una giornata ventosa non ci sarà difficile vedere la danza delle sue foglie. Lo stesso accade se osserviamo un’onda oceanica che si muove con un suo ritmo e una sua energia per poi infrangersi e concludere la sua dinamica sulla riva. Persino il movimento orbitale dei Pianeti è espressione della danza del cosmo. Osservare le espressioni del mondo naturale è quindi un’ottima educazione per un danzatore. In fondo siamo un movimento inscritto in un movimento più grande ed esteso (natura per Cartesio è res estensa) che ci abbraccia e ci contiene.
Non è un caso poi che molte performance in ambito contemporaneo abbiano come tema proprio il movimento naturale (l’onda, la cascata, lo spostamento della sabbia) che è inevitabilmente connesso al nostro.
Ecco perché un ottimo training per la danza può partire proprio da queste visualizzazioni.
Il respiro
Come tutte le piante anche noi restiamo in vita grazie ad un costate scambio gassoso con l’esterno. Anche se il processo per noi è inverso, immagazzinammo ossigeno per rilasciare anidride carbonica, è anche vero che condividiamo con il mondo delle piante la stessa permeabilità verso l’esterno. Spesso ci percepiamo come corpi “chiusi”, chiaramente definiti nello spazio, ma in realtà siamo un insieme permeabile di diverse densità che si tengono insieme grazie a ossa, tendini, muscoli, cartilagini. La nostra pelle, idealmente, stabilisce il nostro confine ma in realtà questa è semplicemente un filtro. L’atto del respirare ci ricorda che il dialogo tra il nostro corpo e lo spazio esterno è inevitabile e perpetuo e che il soffio non è altro che l’espressione di questo continuo scambio trasformativo. Esattamente come un albero attraversiamo lo spazio ma siamo anche attraversati dallo spazio e l’aria che permea il nostro sistema è lì a ricordarcelo. La respirazione dell’albero e quella umana hanno la stessa funzione: mantenere la vita.
Le radici e il piede
Spesso il danzatore si allena a percepire i suoi piedi come fossero radici. Ha bisogno in effetti, come le piante, di abitare in qualche modo il sottosuolo. Le radici hanno delle caratteristiche precise, il loro compito è àncorarci in modo sicuro ad uno spazio particolare: devono essere quindi sufficientemente forti, consistenti e resistenti, devono poter viaggiare in tutte le direzioni anche sotto la linea della terra, ma allo stesso tempo devono conservare una qualità flessibile. Il piede del danzatore nella camminata, nel salto o in qualsiasi altra dinamica di movimento, deve poter farsi radice in qualsiasi momento. Questa fase di grounding è importante perché ci offre la possibilità di creare un vincolo, in modo che tutto il resto del corpo si possa organizzare e programmare intorno a questo legame con la terra. Costruita questa prima architettura il corpo che danza potrà edificare tutti i programmi di movimento che appartengono ai “piani superiori”, a partire dalla caviglia per arrivare fino alla punta della testa e delle mani. Il concetto, se vogliamo paradossale ma senz’altro vero “non si può volare senza radici” vuole proprio ricordarci quanto è necessario costruire buone basi nella terra per poter ambire al cielo.
La linfa vitale e l’energia
La linfa potrebbe essere vista come l’energia vitale che dal basso sale verso l’alto. Idealmente essa scorre nel sottosuolo e si incanala tramite la terra nelle nostre strutture più fini per nutrire il movimento. Dalla pianta del piede (non a caso ha questo nome) la linfa sale e nutre le nostre giunture per portare e sviluppare il movimento nelle aree superiori: caviglie, ginocchia, bacino, colonna vertebrale, collo per arrivare fino alla sommità della testa. Nelle piante infatti la linfa raggiunge tutti i distretti, anche quelli più estremi per poi ritornare alla terra. Danzare a partire da questa visualizzazione di permette di sviluppare un movimento sicuro, ben orientato nello spazio ed estremamente fluido. La stessa linfa infatti possiede quella liquidità che ci consente quasi di vedere il percorso che fa il movimento quando si apre fisiologicamente a questa energia naturale che si ramifica ed evolve sia in basso che in alto. Se pensiamo all’albero della mangrovia, ci accorgiamo da subito come ad una spinta verso il cielo corrisponda un radicamento verso il centro della terra.
I rami e le braccia
Quando portiamo le braccia nello spazio possiamo appoggiarci a diverse immagini. Quella di pensarle come dei rami che crescono e si estendono verso l’alto è particolarmente efficace: se osserviamo le nostre braccia hanno degli s-nodi esattamente come i rami degli alberi. Si tratta di punti in cui il possiamo creare una disarticolazione, tecnicamente è qui che il movimento può crescere, ramificarsi infilare un nuovo tragitto. Allo stesso modo i rami degli alberi sono quei distretti in cui la crescita del ramo prende un’altra direzione spaziale. Da questi svincoli prende vita il disegno dell’albero, allo stesso modo il danzatore da forma al suo movimento grazie alle articolazioni anche se queste non si “cristallizzano” come nel caso della forma vegetale.
La fioritura del movimento
Grazie a questa intenzione il movimento del danzatore diventa naturale e propriamente “organico”: esso non viene eseguito ma come in una pianta, ha una genesi da qualche parte nel corpo e si espande, scorre all’interno per rendersi via via visibile. In quest’ottica potremmo dire che il movimento sboccia per germogliare per poi espandersi come il fusto di un fiore che buca la terra per emergere. L’atto danzato non si da “tutto insieme” ma si esprime sempre in uno scorrimento: il corpo di chi danza può orientarsi al sole come un girasole o schiudersi come una rosa o piegarsi elegantemente come un tulipano. Così il danzatore riesce a dare qualità ma soprattutto potenza comunicativa anche ad un gesto minimale come alzare un braccio, accennare un’intenzione nella testa o muovere lentamente le dita di una mano. Sulla scena questa capacità di far fiorire il gesto ha un impatto emotivo molto forte: lo spettatore grazie a questo flusso visibile del movimento può partecipare alla nascita e all’evoluzione del gesto che in quel momento si esprime attraverso il corpo del danzatore. E’ proprio questa unione estemporanea tra danzatore e spettatore che si ritrovano a partecipare della stessa storia di movimento, ad aprire la commozione, la stessa che si può assaporare guardano un’alba o un tramonto insieme a qualcuno con il quale abbiamo un legame.
Educazione alla meraviglia
Ecco come la natura e in particolare l’immagine della pianta o dell’albero può riportarci quindi al tempo dell’attenzione o della contemplazione. Pensiamo spesso al danzatore come colui che è estremamente coordinato, veloce nei passaggi di movimento, attivo e con una gestione dell’equilibrio fuori dal comune. Tutto questo è senz’altro vero ma molto spesso è nella piccola intenzione che possiamo riconoscere un bravo danzatore, nello scorgere la meraviglia di un gesto semplice ma potente.
Quando osserviamo un fiore non è forse la sua vibrazione delicata a inebriarci? Il suo leggero ondeggiare? Il suo respiro continuo e sottile? Ecco allora come appoggiarci all’immaginario naturale può rappresentare un’educazione continua alla meraviglia che ci circonda e della quale facciamo inevitabilmente parte.
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